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COME STERMINARE LA PROPRIA FAMIGLIA NELLA SERA DI NATALE E PARTIRE SERENI PER LE BAHAMAS

racconto
di

 

Emilia Capasso

 

Ciao a tutti, mi chiamo Aurelia. Lo so, una storia non dovrebbe iniziare così. Dovrebbe essere qualcosa di più informale, di più letterario, di più poetico, di più…di più…be’ avete capito cosa intendo, ma io non sono una “studiata”, sono solo una poveraccia esaurita e sto qui per raccontarvi il mio ultimo Natale, perché potrebbe davvero essere l’ultimo e non avrei più la possibilità di aiutare tutti coloro che come me hanno avuto la megasfiga di avere una famiglia normale, una famiglia standard, una famiglia “all inclusive”, nel senso che non mi hanno fatto mai mancare nulla, in senso negativo, però.

Da dove comincio? Bel problema…potrei cominciare da un paio di giorni prima di questo Natale, esattamente tre giorni fa, il 23 dicembre alle ore 11 del mattino, momento in cui, dovendo svolgere il turno pomeridiano, mi accingevo ad alzarmi dal letto per fare colazione. Ah, dimenticavo, sono laureata 110 e lode alla Federico II di Napoli, ho svolto un dottorato in letteratura moderna superato brillantemente e come logica conseguenza, da cinque anni lavoro in un call center di una nota azienda telefonica. Mi fermo qui. Anzi no, riprendo dalla mia alzata alle 11 del mattino del 23 dicembre.

 

Non era stato un risveglio naturale, se così si può dire, poiché il mio cervello ancora annebbiato per la sbornia della sera precedente, aveva lanciato improvvisamente scariche elettriche alle poche sinapsi che mi restavano attive, a causa dello sgradagrang e sgradabombdrang della serranda tirata su con estrema perfidia da mia madre. Mi stava partendo un “e che cazz…” assolutamente biologico, quando dai meandri della mia memoria mi rammentai che quella donna, o meglio quella sagoma scura che si ritagliava dinanzi al balcone in contrasto con il bagliore del sole di Napoli, era mia madre: quella pia donna che mi aveva partorito, a detta sua, tra i più atroci dolori; quella santa donna che aveva rinunciato a ogni divertimento, a ogni diritto alla felicità per amore mio e dei miei altri due fratelli e che non dimenticava mai di rinfacciarcelo, sempre per amore nostro. Ecco lei ora era lì a ricordarmi che nonostante fossi rincasata alle 4.00, nonostante avessi 35 anni, auto munita e plurivaccinata da decenni, quella era casa SUA e a casa SUA non ci si alza dopo le 11.00 porca miseriaccia zozza! Ah no, in questa casa le parolacce sono bandite, le torture psicologiche però no.

 

Così la mia imprecazione si trasformò in un gentile quanto ipocrita “Buongiorno ma’”. Lei mi rispose con una specie di grugnito per poi svanire da dove era venuta.

 

Mi alzai con l’agilità di un’ottantenne. Mi ripetevo sempre che non dovevo bere quando uscivo con Luisa e Barbara, le mie due colleghe, o meglio le mie compagne di sfiga. Tuttavia dopo un’ora di pettegolezzi vari e di frasi fatte, l’idea di calarmi in un oblio mentale diveniva necessità. In questo modo riuscivo a ridere di tutte le loro battute, soprattutto di quelle che non facevano ridere per niente, compiendo così un’opera di bene nei confronti della loro autostima.

 

“Angelina Jolie è un uomo.” hahahahahahhaha.

 

“La Gregoraci ama Briatore per davvero.” hahahahahahahah.

 

“Elton John non canterà al funerale dell’ultima pop star morta prematura.” hahahahaahahah.

 

Be’ forse non tutte erano stupide…Comunque, quando esci da cinque anni con le stesse amiche un po’ di noia arriva. Metti pure che sei sfidanzata da quattro e che sei tornata a vivere con i genitori dopo un fallimentare tentativo di vita da single, diciamo che la svolta verso l’alcolismo ci starebbe tutta.

 

L’alcol come mezzo per l’autodistruzione in fondo è più semplice e più economico. Basta andare al supermercato. Invece con le droghe ti costa di più e poi devi avere a che fare con brutti ceffi. Insomma, vengo da una famiglia ipercattolica, ho fatto scoutismo e ho perso la verginità a 19 anni, non so se mi spiego. In realtà una volta ci ho provato. Era accaduto un paio di anni prima. Grazie alle indicazioni di un collega di lavoro che arrivava ogni giorno bello allegro e sereno (segni inconfondibili dell’assunzione di droghe, per chi come noi lavora a schiavismo indeterminato, ergo non ha nessun motivo per essere allegro e sereno), mi ero ritrovata in un vicoletto buio ma non tempestoso, alle 8.00 di sera, con dinanzi un ragazzino che poteva avere 20 anni, magro da far paura, il cappuccio della felpa tirato su a nascondere i capelli e la fronte, i denti gialli per il fumo.

 

Io continuavo a guardarmi intorno preoccupata come se il pusher fossi stato io e balbettavo in risposta a ogni sua domanda. Mi aveva guardato con disprezzo, quasi quasi stava rinunciando a vendermela quella robetta verdastra nel sacchetto, ma gli affari sono affari. Così dopo averla raccolta da terra, perché per il nervosismo mi era scappata di mano, mi aveva sorriso come si sorride a un idiota, mi aveva aperto la mano, ci aveva posto la bustina e si era pure preoccupato di richiuderla.

 

“Non te la sparare tutta eh?”. Non mi ero mai sentita così scema in tutta la mia vita. Trenta euro per quel pesto in bustina sigillata. Mi sembrò davvero una esagerazione! Accadde però poi, che quando poco dopo mi incontrai con il famoso collega sempre allegro per farmi spiegare cosa ne dovessi fare, come insomma potevo “spararmela” nel cervello, lui rispose con una sonora risata e uno sguardo ammiccante, troppo direi. “Ma ci penso io a te, cara.” Aveva aggiunto.

 

Ecco dovete sapere una cosa. Se c’è una parola che detesto è “cara”. Volete farmi incazzare? Bene, ditemi “caaara” e fatelo con quintali di miele tutt’intorno e giuro che rischiate la pelle!

 

Vi avverto, fate attenzione alle persone che vi chiamano così. Appurato in anni e anni di sperimentazione su me stessa: esse mentono, vi vogliono morte! Godrebbero a vedervi rosolare al posto dei polli sul grill della rosticceria. In quel “caaara” si nascondono Iago, Bruto e la strega di Biancaneve all inclusive!

 

Fatta questa doverosa precisazione, riprendo dal mio collega che quella sera non azzuppò il biscotto come credeva, però se ne tornò a casa con una dose di hashish aggratis, io al contrario con trenta euro in meno e una mega incazzatura. Il mio livello di autostima era sceso a meno 5 in una scala immaginaria che terminava a meno 10. Mi mancava poco per il tracollo, dovevo fare attenzione. Ma si sa, sfigati si nasce e io lo nacqui, per citare un grande.

(continua)

 

COME STERMINARE LA PROPRIA FAMIGLIA NELLA SERA DI NATALE E PARTIRE SERENI PER LE BAHAMAS

parte seconda
Il bagno per fortuna era libero: mia madre alias la donna bionica delle pulizie, era affaccendata in cucina. Sentivo lo scroscio del rubinetto partire violento, poi silenzio, poi di nuovo lo scroscio. “Bene, è occupata.” sospirai.
In bagno mi sento una regina. Dopo che ho chiuso a chiave, è come se partissi in un’altra dimensione, verso una specie di zona protetta: posso scoreggiare in pace! Non che i miei me lo avessero mai proibito, tuttavia si sa, le femmine non scoreggiano in pubblico. Forse non scoreggiano mai. E’ un mistero. Si potrebbe dedicare una mini puntata di quark: le donne scoreggiano? Anzi, no, le femmine scoreggiano? E’ diverso.
Io credo che molte in realtà si rifiutino di scoreggiare. E qui, la parità tra i due sessi ahimè, non si raggiunge. E’ una questione culturale. I maschi, siano bambini, adolescenti o adulti, nutrono una profonda ammirazione per le proprie scoregge. Ne vanno fieri e le usano non solo per liberarsi, come è giusto che sia, ma anche per divertirsi. Se un maschio fa una scoreggia, la risata corale partecipativa è inevitabile. Anche se dicono: ma no che schifo fai! In realtà stanno apprezzando molto e sperano che tu ne faccia altre, anzi che cominci una vera e propria gara come con i rutti. Si mettono lì e distinguono in base al rumore, alla durata e al fetore. I maschi sono così, sono esseri semplici, si divertono con poco, noi femmine dovremmo imparare da loro. Se ce lo permettessero… O forse dovremmo fregarcene? Facile a dirsi. Io non scoreggerei mai davanti a nessuno, nemmeno davanti ai miei genitori! Questione di tradizione familiare. Mio padre usava talvolta scoreggiare a tavola per far ridere mio fratello quando era piccolo. E mentre io consideravo la scenetta alquanto disgustosa, mio fratello si sganasciava dalle risate e dopo qualche tempo prese a scoreggiare anche lui, in particolare appena sveglio o dopo una lunga mangiata. Mia sorella minore, invece, mi guardava come a dire: ma sono matti? E io mi limitavo a scrollare le spalle. Mia madre invece scoreggiava solo di mattina, diceva che erano le medicine che prendeva e ogni volta si scusava arrossendo.
Questi sono eventi che ti segnano.
Avevo imparato che essendo femmina, le mie scoregge potevano trovare sfogo solo in bagno, meglio se coperte dalla musica della radio. E che liberazione! Nella mia breve convivenza con Diego, di cui vi parlerò dopo, lo possino ammazzà, una delle cose a cui feci molta attenzione fu proprio quella di trattenermi la dolorosa aria nella pancia in sua presenza. Sapevo che non mi amava abbastanza per apprezzare le mie ariette.
Una volta tornata single, finalmente a casa mia ogni mattina si celebravano i fuochi di capodanno!
Lo avevo persino confessato alle mie amiche Luisa e Barbara quando mi avevano chiesto quali erano i vantaggi di essere tornata single. Detta così all’improvviso avrei voluto rispondere: nessuno, ma poi ci avevo riflettuto e avevo numerato così:
primo posto niente depilazione inguinale e vai con la foresta amazzonica anni 70!
Secondo posto nessun problema di cenare con latte e biscotti o scatoletta di tonno rovesciata su quattro foglie di insalata.
Terzo posto niente pomeriggi domenicali a seguire le partite e a imparare a memoria, per via indiretta, i nomi dei giocatori del Napoli, schemi, acquisti, rigore sì rigore no. E qui era partito l’applauso delle mie amiche.
Quarto posto scoreggia libera.
Avevo detto proprio così. E le mie due amiche non ci credevano che scoreggiavo come i maschi. Erano scoppiate a ridere e si erano fatte promettere che alla prima occasione le avrei deliziate con i miei brevi concerti da camera, da bagno ovviamente!


parte terza

E ora eccomi nel mio bagno davanti allo specchio a rimirare il brutto anatroccolo targato 2016. Non che io mi fossi mai considerata brutta, ma non avendo gli zigomi alti, il viso ovale, il naso piccolo, la bocca da nera, gli occhi da cerbiatta o la criniera da leone, per la società ero troppo normale, quindi insignificante, quindi anonima, quindi brutta! In più quella mattina de 23 dicembre non riuscivo a sorridere pensando ai due giorni di tortura psicofisica che mi attendevano, rendendo il mio viso ancora più spento. Al mio comando: “Sorridi!” rispose una smorfia che era a metà tra un ghigno e una paralisi post ictus.
-Ne hai ancora per molto?- Urlò mia madre con la sua voce da soprano.
-Ma sono appena entrata!
-Mi serve lo straccio blu sotto la finestra.
-Quello blu a quadri?
-Noooo quello blu a quadri è per le camere da letto. Quello blu e giallo per la cucina.
-Quello blu e giallo piccolo o quello grande?
-Quello grandeee, devo lavare a terra.- Erano le 11.15. Chi lava il pavimento della cucina alle 11 e un quarto del mattino?
-Ok, te lo passo.
-Veloceeee!- “Schneeeell!” fu la traduzione simultanea nella mia mente.
Mia madre avrebbe dovuto seguire la carriera militare. La immaginavo mentre (naturalmente con accento tedesco) ordinava ai suoi piloti di sganciare bombe a destra e a manca solo per il gusto perverso poi di strappare dalle mani dei soldati fucili e kalashnikov e sostituirli con scope, stracci e mega aspirapolveri da combattimento per far ripulire tutto dalle macerie e persino lucidare le strade se necessario! Entro le 48 ore, ovvio.
Dovete sapere che mia madre adora fare le pulizie e quando affermo adora sto dando un’idea minima di quella che è da sempre una vera e propria ossessione maniaco compulsiva. Se avete bisogno di riportare in vita un pavimento da buttare, lei vi dirà che è una bestemmia e in pochi giorni armandosi di scope, stracci, detersivi da supermercato o intrugli naturali da laboratorio, spugne abrasive o morbide e tanto tanto olio di gomito vedrete che ve lo farà risorgere più bello del giorno in cui lo avete messo a terra.
E alla fine mentre state per ringraziarla vedrete intorno a lei apparire una luce divina e i suoi occhi splendere di gioia celestiale; ella allargherà le braccia e vi sorriderà come una santa e voi no potrete fare meno di inginocchiarvi, di giungere le mani, commuovervi, pentirvi dei vostri peccati e ringraziare con tutto il cuore.
A casa mia la polvere non entra nemmeno. Si ferma sul pianerottolo o sui balconi: “Uagliù, andiamo affianco, che è meglio! Almeno mezza giornata ci stiamo un po’ tranquilli!” consiglia ai compagni pulviscoli e batteri. Ormai sa che è battaglia persa con mia madre. Nemmeno il tempo di posarsi a terra e lei slam! La tira via in un nanosecondo.
In un angolo della cucina, nascosti dietro la porta ci sono una scopa normale, una scopa con lo swiffer, una mazza con straccio in microfibra, una mazza con straccio tipo mocio, una mazza con panno di lana, infine due secchi con acqua pronti per l’uso: uno per lavare, uno per sciacquare. Sotto il lavandino della cucina, invece, ci sono ben piegati e ordinati per l’uso specifico stracci per la polvere di varie dimensioni e colore, oltre che a una trentina di detersivi per ogni tipo di superficie. In bagno poi, i batteri sono un ricordo arcaico, preistorico. Ogni mattina svolge prima una passata di alcol puro, poi di antibatterico, poi di candeggina, una strofinata veloce di anticalcare, soda e ammoniaca nel water, infine il Lisoform dappertutto, perché profuma. Penserete che si svegli alle 4.00, ma no! Alle 7.00, solo che è velocissima, un robot perfetto. Io la invidio perché sono l’esatto contrario. Sarà una sorta di rigetto, non saprei, tuttavia fatto sta che io nella polvere ci sto benissimo. Nel periodo in cui vivevo da sola, il mio pavimento e le superfici dei mobili, avevano man mano assunto un colore unico. Per me non era un problema. Con uno straccio lavavo dappertutto, ma una volta al mese e, modestamente, l’incrostazione nel water dava un tocco vintage al cesso vecchio.
                                                                           parte 4

 
In cucina mia madre mi lanciò uno sguardo di rimprovero: il latte alle 11 e mezza di mattina, ma nemmeno il nonno!
Feci finta di nulla e andai a sedermi, preoccupandomi solo di scegliere i biscotti giusti.
Da circa un anno e mezzo a questa parte avevo realizzato il grande passo verso la saggezza. Dopo mesi di yoga, pilates e altre stregonerie dai nomi pseudo orientali o pseudo inglesi per superare quello stato di depressione che non aveva alcuna causa latente nella mia infanzia, bensì in quel presente fascinoso come una scatarrata su un marciapiede; dicevo dopo aver prosciugato i miei pochi risparmi in diete vegetariane a base di minestroni e tisane costose più dell’oro (e aggiungo che per distrarmi dalla fame mi fiondavo per ore nei centri commerciali dove, come il più spietato degli vichinghi, facevo razzia possibilmente di beni inutili ); dopo aver letto tutti i libri dei più famosi guru: Osho, Gandhi e Jovanotti; e dopo aver viaggiato in posti esotici che cementificati fino all’inverosimile di esotico avevano forse solo la striscia di spiaggia e le poche palme rimaste; dopo tutto ciò ed altro, una sera mi ero rinchiusa in casa e avevo sgolato una bottiglia di rosso frizzantino. Il giorno dopo, mentre giocavo la mia personale partita a ping pong tra il mal di testa e la nausea, mi era finalmente arrivata l’illuminazione.
Il Pokemon che era in me si era evoluto.
Il Goku che era in me si era sdoppiato in Super Saiyan di 4 generazione.
O forse ero solo l’effetto del vino che a detta del nonno, era la medicina migliore per ogni male.
Comunque fosse, ce l’avevo fatta. Avevo finalmente trovato la via della salvezza: immergermi fino ai capelli nella più totale e inesauribile cazzimma1!
Ora, tengo a precisare che chi è napoletano sa che un sinonimo in italiano unico per questa parola non esiste, perché può avere diversi significati e di certo nessuno positivo. Si va dalla furbizia alla cattiveria gratuita.
Il significato che gli attribuivo io, invece, era quello di fregarmene altamente di tutto e di tutti e di sfruttare i miei genitori come risarcimento morale per tutte le paure inculcate, per tutta l’ignoranza spacciata per tradizione orale, per tutte le rinunce inutili. Abbasso l’orgoglio: si torna a casa da mammà!
E così avevo riportato le mie cose nella mia casa natia, approfittando del fatto che anche Martina mia sorella si fosse sposata, giusto due anni dopo Roberto. Adesso c’era una stanza tutta per me, come per la cara Virginia…ma non avevo nessuna intenzione di fare la sua fine. Se Virginia Woolf fosse stata napoletana, hehehe col cavolo che si ammazzava! Avrebbe di certo conosciuto il significato della parola cazzimma e sarebbe sopravvissuta a quelle bestie che non riuscivano a renderla felice.
-Poi a tavola non mangi.- sbottò ad un certo punto mia madre mentre puliva la cappa, talmente pulita e lucida da riflettere il balcone della signora di fronte.
-Ma’ ti ho detto che non pranzo a casa oggi.
-Ah no?
-No.
-E dove vai?
-Esco con Luisa e Barbara, sai che iniziamo a lavorare alle due.
La risposta di mia madre fu un abbassare gli angoli delle labbra come a dire: “mah! Fa’ come te pare.”
-E a che ore finisci?
-Alle sei, come sempre.
-Eh scusa tanto, sono vecchia che vuoi fa’. Le cose me le devi ripetere che me le dimentico!
-Non sei vecchia ma’!- Sorrisi e andai ad abbracciarla.
( continua )

 

 

Di emiliacapasso

insegnante di inglese, scrittrice, blogger

2 risposte su “Tutte le puntate fino ad oggi”

Per ora no, trovo molto più semplice pubblicare su blogspot. Ad esempio ieri sono impazzita perché mi faceva copia e incolla sul titolo e non sul paragrafo e non ho ancora capito bene come si cambia il carattere etc. Finché non capisco bene tutte le sue potenzialità mantengo entrambi.

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